27 maggio 2008

AMP6 e le saldature

Mi e' capitato per le mani un amplificatore ordinato all'ormai noto sito www.41hz.com, nella fattispecie un modello AMP6. Un mio amico aveva iniziato a montarlo, ma in fase di pre-test alcuni dettagli non lo convincevano, e quindi ho pensato di "darci un occhio". Preciso che il mio amico sta iniziando ora a sperimentare qualcosa, a fare qualche saldatura non banale ed assemblare un progettino niente male.
Dopo una prima revisione, nella quale ho sostituito una resistenza che era stata tolta a scopo di misura, ho notato alcune imprecisioni che ora vi espongo.
Innanzitutto le saldature. Non mi metto a scrivere la miriade di link che vi possono portare ai piu' svariati tutorial sulla saldatura (pardon, brasatura) a stagno, sul tipo di stagno da usare, la potenza del saldatore, la pasta o il flussante piu' opportuni e via dicendo. Mi limito a dire che ci vuole "una buona mano, un buon occhio e un buon naso", come per tutti gli esperimenti in campo elettronico (confesso che questa massima mi e' stata riferita da un mio conoscente riparatore, intendendo la buona mano per saper governare il saldatore, il buon occhio per non commettere errori grossolani, e il buon naso inteso sia come "inutito", sia nel senso letterale, un naso che sente subito l'eventuale puzza di bruciato!).
La maggior parte delle saldature erano state fatte correttamente, eccezion fatta per quelle sul piano di massa. Probabilmente il saldatore non era rimasto per un tempo sufficiente sul punto da riscaldare, e il risultato era una saldatura superficiale, irregolare, di forma semisferica, che, pur provvedendo alla continuita' elettrica, sicuramente non avrebbe retto il piu' modesto degli sforzi meccanici. Questo accade perche' il piano di massa disperde velocemente il calore del saldatore, e quindi necessita di piu' tempo per effettuare una saldatura corretta.
Direi che si puo' classificare senza dubbio nella categoria delle "saldature fredde", cioe' quelle nelle quali la temperatura e' stata insufficiente alla completa fusione ed amalgama dello stagno e del flussante.
Poco male, spesso basta riscaldare nuovamente la saldatura per veder risucchiare lo stagno nel foro metallizzato, e magari non guasta aggiungerne ancora un po'.

Diversa la situazione per altre saldature su piste convenzionali. Qui il problema era l'eccessiva quantita' di stagno rilevata su alcuni punti di saldatura, che ha reso necessario l'utilizzo della trecciola dissaldante.

A giudicare dal colore, lo stagno utilizzato e' il classico 60/40 da 1 mm di diametro, che ben si presta alla maggioranza delle saldature. Personalmente ho avuto i risultati migliori usando dello stagno 67/33, da 0.5 mm di diametro. soprattutto per i componenti SMD. Ho notato che quest'ultimo tipo di stagno impiega piu' tempo a raffreddarsi, forse a causa della temperatura di fusione sensibilmente piu' bassa rispetto al 60/40; un raffreddamento piu' lento e graduale e' proficuo per evitare l'insorgere di criccature nel materiale, che a lungo andare portano ad una degradazione meccanica della saldatura, da evitare assolutamente soprattutto con i componenti piu' voluminosi.
Le saldature con lo stagno 67/33 sono anche visibilmente piu' lucenti, forse per la piccola quantita' di argento presente nella miscela, ma di questo non sono completamente sicuro. Ho intenzione di provare delle altre leghe, e di cimentarmi nella saldatura lead-free.
A breve le mie impressioni!

13 maggio 2008

Linn Majik - La riparazione è completa!

Posso finalmente scrivere questa frase: ho aggiustato il Linn.

Oggi ho finalmente acquistato le quattro resistenze da 0,47 ohm che mi servivano per completare l'opera.
Dopo la sostituzione delle resistenze, un primo test ha confermato la piena funzionalità del Linn; ho quindi provveduto a pulire bene lo stampato dalle ultime tracce di pasta salda, ed ho alloggiato l'elettronica nel suo mobile. Le foto raccontano più di mille parole.


Foto dei finali e stadio d'alimentazione:


Foto complessiva dell'elettronica prima della messa nel mobile:


Foto del display (perdonate la scarsa qualità):


Il retro della scheda. Da notare le piste rifatte:


Foto del mobile:


Trasformatore ed interfaccia verso la rete:


L'elettronica adagiata nel mobile:



Il pannello posteriore, con l'abbondante dotazione di ingressi ed uscite:


Ed ecco tutti i componenti bruciati dal fulmine!


Un sincero GRAZIE a Maurizio per i TDA1514 e i transistor!

11 maggio 2008

Linn Majik - La riparazione prosegue

Dall'ultima volta in cui vi ho parlato di questa riparazione è passato un po' di tempo, ma d'altronde mi sono imposto di andare più cauto che mai, vista la fragilità del "paziente" e, non ultimo, il denaro investito.
Oggi posso dire finalmente che buona parte dei circuiti "sospetti'' funzionano.
Tutto si è svolto in questo fine settimana, dopo che Giovedì ho ricevuto la raccomandata contenente i quattro TDA1514 e i due transistor di potenza!

Eccoli:


Vi confesso che prima di accendere il saldatore e fare qualsiasi cosa ho pregato a lungo di non vedere sparire in fumo il risultato di parecchie ore di lavoro.. Ma l'unica era provare.
Ho iniziato con la sostituzione dei transistor di potenza "posticci" (il BD249C e il TIP145) con quelli "ufficiali". Il 2SC3519 e il 2SA1386 al loro posto. Ho sagomato opportunamente i pin per adattarli alla particolare forma dello stampato, oltre ché per ricostruire un paio di piste sollevate. Posso dire oggi con buona approssimazione il percorso del fulmine: dal cavo di messa a terra si e' propagato attraverso le piste di massa degli stadi d'ingresso, fino a raggiungere il finale del canale sinistro, che si e' bruciato subito. Il canale destro ha subito la stessa sorte durante le prime accensioni dell'amplificatore, visti i danni alla sezione di alimentazione. Anche il piu' robusto dei chip sarebbe saltato, con un' alimentazione in quello stato; i transistor di potenza andati (Il 3519 originale in cortocircuito, l'altro aperto), i regolatori che non regolavano, e chissa' quali cortocircuiti, che non ho neppure avuto la briga di verificare, giacche' ero preso dalla foga di dissaldare tutto cio' che sembrava ''andato''.
Ma ora, con i componenti nuovi alla mano, e le prove fatte, ero piu' speranzoso.
La sostituzione dei transistor di potenza non mi dava particolari preoccupazioni, in quanto la situazione poteva solamente migliorare, visto che i transistor erano proprio quelli per i quali l'alimentatore era stato disegnato.
Infatti, a saldature ultimate, le tensioni rispecchiavano fedelmente quelle desiderate: 26 volt sul ramo positivo e -25 sul negativo. Tutto a posto. Ora bisognava stare attenti a non bruciare i transistor appena piazzati, magari con qualche manovra sbadata!

Mille scrupoli prima di saldare i preziosi TDA: lo schema
Prima di saldare i TDA1514 era doveroso controllare, datasheet alla mano, tutte le reti attorno ai chip stessi, dagli ingressi alle uscite. Il circuito è abbastanza semplice e replicato identicamente per i quattro chip, esso si comporta come il classico "grosso operazionale", quindi con i componenti relativi all'impedenza d'ingresso, la rete di retroazione, i condensatori sull'alimentazione, e la rete di protezione SOAR. Proprio quest'ultima rete si è rivelata più complessa del previsto, visto che l'amplificatore prevede una funzione di "muting" automatico, oltre che' un muting forzato ottenibile dai jumper menzionati nei post precedenti.
Osservando il circuito, ho notato che da un lato la rete della SOAR ricalca fedelmente quella del datasheet, con una resistenza da 470K verso massa e un condensatore verso il ramo negativo dell'alimentazione (nel datasheet da 3,3 uF, nel Linn da ben 22 uF!). La costante di tempo di questa rete RC determina il tempo di "standby" dell'amplificatore prima dell'accensione completa.
Dei comparatori interni al 1514 fanno sì che a condensatore scarico (0 ~ 0,9V rispetto al ramo negativo dell'alimentazione) il chip sia spento, poi con una tensione fra i 2 e i 4,5 volt
si posizioni in standby, e poi infine con tensioni fra i 6 e i 7,25 volt sia in funzionamento pieno.
La rete che asserviva la SOAR del canale destro era sana, misurando con il tester la tensione sulla piazzola del pin 3, all'accensione si poteva seguire l'andamento che da 0V (sempre rispetto ai -25V) saliva lentamente fino a raggiungere la massa. I circuiti interni del TDA1514 limitano la salita di questa tensione arrestandola al valore massimo di circa 7 volt visto prima, quindi se in sede di misura potevo raggiungere la tensione di massa (ossia i 25 volt rispetto al ramo negativo), alla fine a chip montato non salivo mai sopra i 6,5 ~ 7V.

Un guasto inaspettato
Il ramo che asserviva il canale sinistro era invece fisso a zero volt. Osservando con attenzione le piste che costituivano il ramo, si poteva vedere che erano quelle più danneggiate, segno che il fulmine ha colpito con più forza in quella zona. Qualcos'altro si era bruciato sicuramente.
E' bastata una misura con il tester per capire che il cortocircuito verso i -25V era secco. Infatti il condensatore da 22 uF, una volta dissaldato, era in pieno cortocircuito.
Sostituire il condensatore è un gioco da ragazzi direte, ma dove lo trovo io un condensatore allo stato solido in SMD da 22uF 25V? Nella mia scorta di componenti non ne avevo, e nemmeno nelle schede ricche di SMD che tengo come miniera di componenti.
Ho notato che di condensatori come questo ce n'era un altro che livellava banalmente la tensione di 5 volt, piazzato nella zona degli stadi d'ingresso. Ho quindi prelevato il condensatore "buono", l'ho saldato al posto di quello in corto, ed al suo posto ho messo un elettrolitico da 22uF 25V che avevo in casa; per il compito che deve svolgere va più che bene!

Risolto!
Infatti all'accensione tutto rispondeva correttamente, con i display che reagivano prontamente , e le tensioni ai capi del condensatori che salivano come previsto. Attivando il mute dai jumper, le tensioni scendevano bruscamente a zero, riattivando il sistema salivano lentamente come era lecito aspettarsi. Un altro problema risolto!

La prudenza non è mai troppa: un controllo a tutti i componenti
Le resistenze di retroazione dei chip erano tutte sane, a parte una da 150 ohm che appariva sana, ma era fissata con delle saldature fredde (in effetti erano un po' opache), ed appariva come un cortocircuito!
E' bastato rifare le saldature e tutto si è messo a posto.
Per sicurezza ho rinfrescato anche le saldature delle altre resistenze, assicurandomi poi del loro corretto funzionamento. A conti fatti, se la resistenza da 150 ohm incriminata si fosse comportata come un aperto, il TDA1514 relativo si sarebbe comportato come un buffer, e la tensione in uscita sarebbe stata a livello di linea, quindi ben piu' bassa di quella erogata dal ''gemello''; questo avrebbe portato ad un drastico abbassamento della potenza in uscita, che si sarebbe dissipata sulle resistenze di adattamento (ed ecco perche' ho scelto di non mettere subito quelle da 0,47 ohm!).

Regolazione dell'offset
Ho scoperto anche la funzione precisa dei due trimmer nella rete di retroazione di un chip del canale destro ed uno del canale sinistro.
Come sospettavo, essi servono a fissare l'esatto valore delle resistenze di retroazione (si tratta di trimmer da 500 ohm in serie alla resistenza da 3,9K di retroazione), in modo da garantire il matching perfetto del guadagno fra gli stadi che finiranno in parallelo.
Ad una misura col tester, la serie della resistenza e del trimmer misura esattamente come la resistenza dello stadio speculare: 3910 ohm in uno stadio e 3915 nell'altro. Precisi tanto da farmi seriamente prendere in considerazione di lasciarli lì, senza tarare neppure nuovamente il sistema!

Uno schema sempre più complesso: operazionali per la compensazione in temperatura
Rimaneva abbastanza fumoso il ruolo di due integrati doppi operazionali di tipo TL072C, che agivano sulla retroazione di entrambi gli stadi. Pare che siano collegati all'NTC fissato al dissipatore, qunidi presumibilmente ad una rete di compensazione della temperatura.
Il loro funzionamento pareva regolare, non c'erano cortoocircuiti, e non mi sono addentrato in ulteriori indagini. Curiosamente questi due integrati sono alimentati alla tensione duale di + e - 14V, ottenuta dai 317-337 che generano i 15V duali, ai quali sono affiancati due BJT di media potenza SMD che causano la caduta di 1V, che genera così i 14 volt duali. Condensatori a iosa.
Forse si voleva migliorare il disaccoppiamento fra l'alimentazione dello stadio l'ingresso (l'unico in effetti ad essere alimentato a + e - 15V) e lo stadio di compensazione della temperatura.

L'accorgimento per il parallelo dei finali
Insomma, tutto sembrava pronto per ospitare i TDA1514, eccetto le resistenze di bilanciamento delle uscite. Le resistenze da 0,47 ohm 5W le avevo già tolte, in quanto una di essere era "aperta" (fatalità sempre quella facente capo al TDA più "danneggiato"), e le altre avevo comunque intenzione di cambiarle.
Decisi, come detto, che per le prime prove, potevo usare le quattro resistenze di potenza da 18 ohm 11W che avevo nel cassetto.
In caso di problemi, avrei subito avvertito il calore delle resistenze, piuttosto dell'odore di bruciato dei chip!

Fu così che iniziai a saldare il primo TDA1514.
Decisi di saldarli uno alla volta e dare tensione ogni volta, confidando sul fatto che di fatto i quattro chip sono gestiti da quattro circuiti indipendenti, e che comunque anche con un solo chip l'amplificatore avrebbe dovuto funzionare; al massimo, in caso di guasto catastrofico, avrei sacrificato uno solo dei quattro preziosi integrati.
Dopo l'accurata saldatura dei pin, ho controllato la continuita' di tutte le piste e la corretta corrispondenza di ogni pin con la funzione che avrebbe dovuto svolgere.
Sembra tutto a posto.

Proviamo il primo TDA...
Collego il trasformatore e il display, e con il cuore a mille infilo la spina. Il trasformatore reagisce sempre con un avvertibile impulso, per caricare i grossi condensatori da 10.000 uF. Tutto silenzioso. Dopo tre secondi stacco la spina, tasto transistor e chip, tutti freddi. Bene, almeno posso sentirmi di escludere la possibilita' di cortocircuiti o errati collegamenti.
Collego un segnale all'ingresso RCA corrispondente all'ingresso CD, piazzo una cassa acustica "da laboratorio", e accendo nuovamente. Tutto tranquillo, aspetto un buon mezzo minuto con le dita sulla scheda in cerca di possibili punti suscettibili a surriscaldarsi, e mi decido a far partire la musica.
Fu cosi' che ''Radio Ga Ga'' dei Queen battezzo' la rinascita dalle ceneri del povero Linn Majik, che a questo punto poteva dirsi sulla buona strada per il completo recupero.
La musica che usciva dalla cassa, la risposta corretta del controllo di volume e del cambio d'ingresso confermano il pieno funzionamento di tutto il circuito. Buona parte dei dubbi sono stati dissipati.

La strada è spianata
Procedo con la stessa operazione con un solo chip all'altro canale.
Con il cuore sempre a mille accendo, e finalmente posso assaporare il suono in stereo!
Tutto tranquillo anche con le temperature, al tatto tutto si scalda ma uniformemente e ''nella norma''.
Preso dalla gioia nel vedere che tutto funziona a dovere saldo il terzo chip, e poi il quarto.
Dopo aver controllato a livello maniacale ogni dettaglio do' tensione, e finalmente tutto funziona come deve. Tutti e 4 i chip funzionano insieme, Radio Ga Ga esce pulita dalle casse (per quanto possano essere da laboratorio, suonano benone! O magari è la qualità del Linn a farmi sentire una musica così bella? O forse la mia soddisfazione?).
Giunto a questo punto, una bella pausa e un buon caffe' sono d'obbligo.

A parte gli scherzi, ecco una foto didascalica del lavoro allo stato attuale delle cose:
Visibile più dettagliatamente su Picasa: LINK


Un curioso sistema di raffreddamento
Da notare le ridotte dimensioni dell'aletta di raffreddamento, in alluminio anodizzato. L'anodizzazione rende elettricamente isolante l'alluminio, e infatti durante lo smontaggio dell'amplificatore non ho notato alcuna mica isolante, e nemmeno un po' di pasta bianca. Per fare un lavoro più accurato ho quindi provveduto a fissare chip e transistor con delle buone miche isolanti siliconiche e un giusto quantitativo di pasta termoconduttiva.
Durante le prove l'aletta (se così si può chiamare) ha raggiunto temperature abbastanza elevate, al tatto.
Evidentemente la dissipazione del calore sarà più efficiente con l'amplificatore nel suo mobile metallico (è d'alluminio, e piuttosto spesso), al quale l'aletta trasmetterà il calore. Però, una scelta davvero ingegnosa!

7 maggio 2008

L'alimentatore da banco

Ecco finalmente la descrizione del progetto forse piu' controverso fra gli appassionati di elettronica: l' alimentatore da banco per il proprio laboratorio.
La mia idea e'nata discutendo un po' (animatamente) con i colleghi all'universita', in merito alle caratteristiche dello strumento ''ideale'', che avrebbe risolto tutte le esigenze possibili per l'alimentazione da laboratorio. Ad un certo punto si crearono due linee di pensiero: chi diceva che l'alimentatore doveva essere minimalista, con un'unica uscita regolabile e ''perfetta'', e chi diceva che sul pannello dovevano trovare spazio tutte le uscite in alternata, tutte le tensioni fisse da 1.5, 3, 6, 9, 12, 15V, e almeno due uscite variabili, oltre ovviamente agli strumenti rigorosamente analogici.

Fu a quel punto che pensai: Perche' non realizzare una struttura modulare, da comporre in base alle esigenze? In fin dei conti un alimentatore super-accessoriato quando potra' essere sfruttato appieno? Praticamente mai!
Decisi quindi di dividere il concetto di ''alimentatore'' in quattro sezioni fondamentali: la sezione di potenza bruta (trasformatore, ponte e condensatore), il regolatore, gli strumenti e la sezione di protezione.
Decisi allora che sarebbe stata una buona idea realizzare le singole unita' in scatole separate, da collegare in base alle esigenze, in modo da rendere la struttura massimamente flessibile, oltreche' meno ingombrante possibile, visto che ogni volta si sarebbero collegate solamente le unita' desiderate.
Confesso che l'idea mi venne osservando la quantita' industriale di boccole e spinotti a banana che avevo acquistato l'anno precedente alla Fiera di Pordenone, e che erano rimasti inutilizzati per molto, molto tempo.. Sarebbe stato un peccato non utilizzarli, no?

Fu cosi' che iniziai a realizzare il banco strumenti, racchiudendolo in una scatola GEWISS modello 207.
Queste scatole sono davvero ideali per le realizzazioni prototipali ed hobbistiche, la plastica e' favolosa, si lascia lavorare bene ed e' molto resistente, ed inoltre il fondo delle scatole e' ricco di nervature, ottime per fissare torrette metalliche, trasformatori e quant'altro.
Nella ''207'' trovano spazio un voltmetro in CC da 30V f.s. ed un amperometro CC da 3A f.s., rigorosamente analogici, gestibili grazie ad un sistema di interruttori che permette di escludere gli strumenti (per i test piu' a rischio per la loro incolumita'!), di riferire le misure ad una massa diversa, etc.. Lo strumento e' decisamente versatile, e lo uso praticamente sempre.


La seconda unita' che ho realizzato comprende tutta la sezione "bruta'' dell'alimentazione, ossia i trasformatori, i ponti e i condensatori. Essendo questi componenti decisamente piu' ingombranti, ho utilizzato una scatola GEWISS modello 209.


Inizialmente volevo includere solamente i componenti sopra menzionati, ma poi, vista l'abbondanza di spazio, ho aggiunto anche un po' di ''optional'', che ora elenco:
-La tensione di rete a 220 volt viene inviata ai trasformatori mediante dei relé', azionati dagli interruttori sul pannello funzionanti a 12 volt. Non mi piaceva l'idea di avere i 220 volt sul pannello, e poi posso sempre prevedere l'attivazione dei rele' in via remota, o automatica, anche se non ho ancora implementato questa funzione, e i rele' asservono esclusivamente agli interruttori sul pannello.
-Un trasformatore da 12V 10W fornisce la tensione per l'elettronica di bordo precedentemente menzionata, e per i LED che ho intenzione di mettere sul pannello (tutt'ora rimane un'intenzione, visto il poco tempo a disposizione).
-Il trasformatore di potenza principale e' stato recuperato da un plotter, e' dotato di un primario con selezione 110-200-220-240V, e tre secondari, che con 220V al primario forniscono rispettivamente le tensioni alternate di 9, 18 e 27V.
-Inizialmente avevo pensato di portare la 220 solamente all'avvolgimento primario dedicato, ma poi ho pensato di mettere un interruttore a 3 posizioni, in modo da scegliere se tenere il trasformatore spento, se inviare la 220V all'avvolgimento ''220'' o all'avvolgimento ''240'', in modo da disporre di tensioni sensibilmente piu' basse di quelle nominali. Questo mi e' utile per testare il comportamento del carico ad esempio in caso di abbassamenti della tensione di rete, o per verificare l'autosuscettibilita' di un convertitore. Insomma, la differenza fra le tensioni ottenibili al secondario non e' elevatissima, ma puo' tornare utile.
I terminali dei tre avvolgimenti secondari di questo trasformatore sono portati direttamente al pannello frontale.
-Ho montato poi un secondo trasformatore, un toroidale da 50W con uscita 20 + 20V a zero centrale. L'uscita in alternata e' portata al pannello frontale con 3 terminali, sia mai che debba provare un alimentatore duale.
-Questo secondo trasformatore, oltre a fornire le suddette tensioni al pannello frontale, alimenta internamente un almentatore CC duale completo, realizzato con una coppia di regolatori LM317-LM337. Le tensioni in uscita vanno da 1.25 a circa 25 volt per il ramo positivo, e da -1.25 a -25V per il ramo negativo, e sono regolate separatamente da due ottimi potenziometri da pannello. La corrente massima di 1.25A per ramo e' piu' che sufficiente per alimentare la maggioranza dei progetti che richiedano alimentazione singola o duale. Prelevando poi la tensione fra il ramo negativo e positivo, si possono ottenere anche tensioni elevate, fino a 50V, una tensione normalmente fuori dal range dei comuni alimentatori da banco, che arrivano quasi sempre fino a 30 volt.
I regolatori sono fissati ad un dissipatore sul fianco destro della ''209''.
-Al fianco sinistro un altro dissipatore monta due ponti raddrizzatori da 50A, accompagnati da condensatori elettrolitici da 10.000 uF 50V, di buona qualita'. Gli ingressi dei ponti e le uscite ai capi dei condensatori sono disponibili sul pannello, pronti ad essere collegati a qualsivoglia avvolgimento secondario e qualsivoglia carico. Essendo tutti i sistemi galvanicamente isolati, e' possibile realizzare sistemi a masse separate, o paralleli per ottenere correnti piu' elevate (magari giocando con gli avvolgimenti secondari, che fatalita' forniscono tensioni facilmente combinabili).
-Sul pannello trova posto anche un voltmetro analogico AC da 30V f.s., molto utile per controllare l'effettivo valore della tensione alternata ai secondari dei trasformatori, soprattutto sotto sforzo.
-Nessuna ventola attiva, solo dissipatori esterni e abbondantemente sovradimensionati, a garanzia di silenzio ed affidabilita'.


L'abbondante presenza di boccole a banana sul pannello frontale garantisce la massima flessibilita' di questo ''box di potenza'', e i collegamenti permanenti (ad esempio i collegamenti fra gli avvolgimenti dei trasformatori) possono essere realizzati con del comune filo, semplicemente avvitando i morsetti delle boccole a banana. Semplice e flessibile.
Ogni trasformatore e' asservito da un interruttore controllato da un rele', sul fianco c'e' un interruttore generale bipolare, e dulcis in fundo ho trovato spazio anche per un filtro EMI per la linea a 220V, che non fa mai male.

La terza ''scatola'' che ho realizzato (precisamente in una GEWISS modello ''208'') non fa parte dell'alimentatore, ma e' un carico attivo, che descrivero' dettagliatamente in un altro articolo.

Foto dettagliate:
Scorcio all'interno dello stadio di potenza (cablaggi)
Retro pannello stadio di potenza
Interno della stazione di misura
Interno dello stadio di potenza

Link a tutte le foto dell'alimentatore su Picasa (consigliato): LINK

Update 21 Maggio 2015:
L'alimentatore da banco è stato citato in un bel gruppo Facebook dedicato all'elettronica, che vi invito a visitare: https://www.facebook.com/ElettronicApplicata/posts/825881014128456

2 maggio 2008

T-AMP - e AMP32 fu.

Come già introdotto nell'articolo precedente, vi spiego come è andata a finire l'esperienza con il T-AMP.
Il sito www.41hz.com è sembrato subito molto attraente, vista la varietà di kit disponibili e la cura con la quale il sito stesso è realizzato.

La tentazione di fare subito un ordine era fermata solo dall'imbarazzo nella scelta di quali kit provare, sembravano tutti molto validi.
La mia scelta ricadde su due kit: l'AMP32, basato sul chip TA2021 (2 x 15W RMS), e l'AMP4 (basato su un chipset completo, in grado di fornire una potenza di 2 x 30W RMS).
L'AMP32 mi ha particolarmente attirato per via della componentistica, tutta in SMD, anche molto spinto. E' stata l'occasione per impratichirmi nella saldatura SMD ed apprezzare al contempo una potenza più sostanziosa da questa famosa classe T (diciamo la verità, con 8 + 8W non si sentiva granché..!).

L'assemblaggio dell'AMP32 non è stato proprio immediato. Una volta imparata la saldatura dei componenti SMD a due terminali poi tutti si somigliano, e si può affinare la tecnica usando sempre meno stagno, ottenendo così una saldatura buona e soddisfacente.
Più difficoltosa è la saldatura del chip TA2021. Il package è in SMD molto spinto, i pin sono molto sottili e molto vicini fra loro. Dopo un insoddisfacente tentativo di saldatura "ad onda", mi sono adattato a saldare i pin uno ad uno, togliendo alla fine ogni residuo di stagno fra pin e pin.

Alla prima accensione non ho ottenuto risultati soddisfacenti: l'amplificatore emetteva un suono frusciante e si spegneva dopo pochi secondi di crepitìo e fruscìo.
Per prima cosa ho ripassato tutte le saldature ai componenti, lasciando per ultima ogni considerazione sul chip. Avendo poi appurato che la situazione non cambiava, ho deciso i rifare le saldature del chip, operazione decisamente più difficoltosa vista la popolazione della scheda.
Dopo due "passate" di saldatore, ecco che tutto si è messo a funzionare a dovere, e l'AMP32 suona tuttora sulla mia scrivania di tanto in tanto. Eh si, perché il povero ampli ha ancora bisogno di una "casetta". Ma questa è un'altra storia.
L'AMP4 rimane in attesa che il suo padrone abbia il tempo di mettersi ad assemblarlo..

T-AMP - ogni saga ha sempre un inizio

Scrivo finalmente le mie impressioni in merito ai famosi amplificatori in classe T, divenuti famosi grazie alla temporanea moda del T-AMP, l'amplificatore da 8 + 8 watt definito "l'ammazza-giganti", "Davide contro Golia" ed altri pittoreschi appellattivi. Si tratta in poche parole di un perfezionamento dell'arcinota classe D nel mondo dell'amplificazione; nei classe T la portante è a frequenze più elevate, dell'ordine del megahertz, e le non idealità dell'amplificatore vengono corrette con un potente DSP interno. Il chip con il quale la moda è stata lanciata è stato il TA2024, che erogava, come detto, una potenza di 8 watt RMS per canale.

La prima esperienza con il T-AMP è avvenuta all'interno dell'MT-lab (www.mt-lab.org, fate un giro!), grazie ad un nostro amico che ha portato il leggendario "Sonic Impact" per qualche prova.
Le prime prove d'ascolto furono abbastanza positive, ma volevamo osare di più. Subito abbiamo smontato l'amplificatore in questione, per sistemarlo in un mobile più pratico ed apportare qualche miglioria tecnica (alimentazione più potente, sostituzione di qualche componente, etc..). I risultati ci furono, ma durante una delle prove il T-AMP decise di lasciare questo mondo.. Ogni commento in merito a tale esperienza si può trovare su www.mt-lab.org.

Dopo vari mesi dalla deludente, seppur interessante, esperienza con il TA2024, decisi di cercare in rete un sostituto del defunto amplificatore, ed approdai al sito www.41hz.com...

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