25 novembre 2008

Ripariamo una saldatrice

Recentemente ho avuto modo di operare, per la prima volta, su una saldatrice elettronica. Devo dire che e' stato molto interessante, soprattutto per la soddisfazione nell'aver visto "dal vivo" le cose che ho studiato all'Università. Non mi capita tutti i giorni di vedere un circuito in grado di erogare una cinquantina di volt con correnti di quasi duecento Ampere!
Ecco una foto della "paziente", prima della riparazione:


Dopo un periodo di funzionamento piuttosto intenso, la saldatrice ha semplicemente smesso di funzionare. Non si e' più accesa, ne' la luce sul pannello ha più' dato segni di vita; persino la ventola rimaneva ferma.

Apriamo la saldatrice.
Non occorre dire che ho aperto subitaneamente la povera saldatrice, a caccia del guasto!
La prima operazione nel momento in cui si esamina l'interno di un apparecchio elettronico e' l'identificazione i componenti fondamentali, immaginando un possibile schema a blocchi.
Spesso le prime supposizioni sono errate, ma un'osservazione attenta e' fondamentale per decidere come comportarsi.

L'interno dal lato della ventola:


Da questa prospettiva si puo' seguire il percorso del cavo di alimentazione che, passando per l'interruttore, porta la tensione di rete alla prima piccola scheda. con tutta probabilita' si tratta del filtro d'alimentazione, onnipresente nei circuiti a commutazione; osservando attentamente si puo' intuire la struttura del filtro, costituito dai condensatori al poliestere e dalla doppia induttanza ben visibile al centro. Lo schema di principio di un filtro di questo tipo e' questo:


I condensatori aiutano a filtrare i disturbi in alta frequenza, in particolar modo quelli erogati dalla saldatrice, mentre l'induttanza aiuta a filtrare la componente di corrente di modo comune, sempre in alta frequenza.
Uno degli svantaggi dei circuiti a commutazione consiste proprio nella generazione di molte armoniche di disturbo.
Un filtro, anche se rudimentale come quello in questione, si rende indispensabile per non stressare oltremodo i componenti della rete elettrica.

Sulla parte destra della scheda, montato posteriormente, e' intuibile il collocamento del grosso ponte raddrizzatore, dal quale partono i cavi rosso e nero verso la scheda principale.

Il sistema di protezione contro il surriscaldamento e' molto elementare. La resistenza a filo visibile accanto all'induttanza fornisce l'alimentazione ad un circuito secondario presente sulla scheda principale. Elaborando il segnale della termocoppia montata sul dissipatore, fa diseccitare il rele' in caso di sovratemperatura. Tipicamente si tratta di un amplificatore seguito da un comparatore a trigger di Schmitt.

I cavi per i segnali di alimentazione e comando sono contenuti nella guaina sterlingata nera, visibile meglio in questa foto assieme alla termocoppia (montata sulla piastra d'alluminio, in zona posteriore):

clic per ingrandire

Sempre osservando la medesima foto, si intravedono i condensatori di filtraggio (rossi).
Osserviamo ora la scheda principale:


Notiamo subito la disposizione piuttosto intuitiva dei componenti. La tensione di rete precedentemente raddrizzata viene livellata dai condensatori elettrolitici visibili nella foto precedente, e la tensione continua di circa 320V cosi' ottenuta viene inviata allo stadio finale (che qui e' montato dietro allo stampato, coperto dalle abbondanti alette di raffreddamento).
Il finale pare essere di tipo dual-forward, vista la presenza di un trasformatore d'isolamento ad avvolgimenti semplici (un solo avvolgimento primario ed uno secondario, diodi di ricircolo, nessuna presa centrale), ma non ho trovato ulteriori informazioni in merito. Poco importa, visto che il problema era da un'altra parte.
Infatti, dai 320V precedentemente ottenuti viene derivata immediatamente l'alimentazione per lo stadio di controllo. Osservando la parte alta della scheda si può' notare un regolatore in contenitore TO220 (nella fattispecie un LM7815), ed alcuni altri condensatori di livellamento, oltre che due grosse resistenze a filo, che hanno subito destato il mio sospetto.
La prima operazione che ho fatto dopo aver aperto, esaminato e ripulito la saldatrice e' stata la misura "a caldo" delle tensioni piu' importanti.

ATTENZIONE: La prova e' stata effettuata con saldatrice completamente aperta e funzionamento in tensione. Com'e' riportato sulla carcassa di ogni apparato elettronico, qualsiasi misura non andrebbe MAI eseguita in questo modo, ma rispettando le minime precauzioni ho deciso di arrischiarmi.
Va da se' che l'inesperienza, la fretta e la scarsa conoscenza dell'elettronica interna sono fattori che obbligano all'immediata richiusura dell'apparecchio e la consegna al riparatore più' fidato.

Ho iniziato la misura partendo dai condensatori di filtro, e verificando l'effettiva presenza dei 320V continui. Va detto che il ponte e i raddrizzatori sono sempre leggermente sovradimensionati, e raramente vanno incontro a guasti.
Ho quindi spostato l'attenzione sull'alimentazione del controllo, iniziando dal regolatore.
E' apparso subito evidente che il 7815 non erogava alcuna tensione fra il terminale centrale ed il terminale di uscita (identificabili facilmente dal datasheet). Nemmeno la tensione a monte del regolatore dava segni di vita. Evidentemente il problema era ancor prima, e difatti le due resistenze a filo hanno svelato l'arcano.
Ai capi della resistenza più' vicina al regolatore cadevano zero volt, mentre ai capi dell'altra ho misurato i famosi 320V!
A questo punto era abbastanza auspicabile che la resistenza fosse interrotta, e infatti la misurazione mi ha dato ragione.
Osservando attentamente la foto si notano i piedini già tagliati delle resistenze (il taglio e' necessario per ottenere una misura affidabile di una resistenza, non dimentichiamolo attenzione!). Una era ancora sana, l'altra, come previsto, interrotta.

La riparazione.
Ho subito cercato delle resistenze a filo identiche a quelle originali, ma oltre ad aver incontrato notevoli difficoltà a reperirle, non sono stato assolutamente soddisfatto dell'acquisto; basta dire che ho comprato quattro resistenze di ricambio presso un negoziante che ne era fortunatamente fornito, e una di esse (sicuramente non per colpa del povero negoziante!) era già' interrotta... Qualita' zero.
Ecco una foto della resistenza originaria, aperta per verificarne il guasto, e quella "nuova", interrotta:


La resistenza originale e' in alto, la sua completa compromissione non ha bisogno di parole.
La resistenza acquistata, in basso, presentava invece il filamento leggermente più lasco al centro, segno certo di una interruzione. Anche una misura chiarificatrice con il multimetro ha dato un risultato interessante: partendo da un'estremità e facendo scorrere uno dei due puntali verso l'altra, la resistenza misurata saliva linearmente, fino a circa 1,5 Kohm, per poi incontrare l'interruzione.

Il problema della sigla.
Osservando attentamente l'immagine, si nota una palese incongruenza fra le sigle delle resistenze. Osserviamole da vicino:


La resistenza originale riportava la sigla 3K3 J, vale a dire 3,3 Kohm 5%, potenza 9W.
Quella nuova riporta semplicemente la sigla 3R3 K. Ora, fino a prova contraria, 3R3 identifica una resistenza da 3,3 Ohm, e non 3,3 Kohm.
A detta del negoziante, la "K" identificherebbe la moltiplicazione per 1000, ma noi tutti sappiamo bene che la lettera dopo la sigla identifica la tolleranza. Come identificare altrimenti questo parametro?
Guardiamo anche il codice standard (preso a prestito da un altro sito):


Notiamo che la "K" identifica una tolleranza del 10%, mentre la "J", presente sulle resistenze originarie, indica il 5%.
Non solo le resistenze nuove hanno una sigla ambigua ed una su quattro e' difettosa, ma hanno anche una tolleranza più elevata!
A mio avviso si tratta di un grossolano difetto di produzione.
Rimane comunque aperta la questione sulla sigla, invito i lettori a fornirmi la loro opinione!

Ad ogni modo, considerata la ridotta criticità del componente in questa specifica applicazione, e considerata la difficoltà incontrata nel reperirlo, ho deciso di terminare ugualmente la riparazione.

Ho proceduto quindi con la pulizia della zona di saldatura, con flussante solido e treccia dissaldante. La saldatura delle nuove resistenze ha richiesto non poco tempo, vista la necessita' di riscaldare l'ampia pista di massa sulla quale insisteva uno dei reofori.
Il riscaldamento preventivo (effettuato semplicemente tenendo il saldatore da 50W per una ventina di secondi sullo stampato, spostandolo di tanto in tanto) si e' reso necessario per garantire una saldatura affidabile. In caso contrario avremmo ottenuto la più classica saldatura "fredda", e l'aderenza dello stagno sarebbe stata decisamente molto precaria.
Ne ho approfittato per dare una ripassata anche alle saldature dei condensatori.

Montaggio e collaudo.
Ecco una foto dettagliata della zona dopo la riparazione:


Ho ritenuto opportuno rimarchiare le resistenze, in caso di riparazioni future. Non avendo nulla di meglio, ho utilizzato un pennarello indelebile a punta fine, sperando che non scolorisca. Sarebbe piuttosto triste se, in un futuro lontano, un riparatore dovesse effettuare la mia stessa operazione, e sostituisse le resistenze bruciate con resistenze da 3,3 Ohm...

Vale la pena dare un'occhiata anche al lato "pesante" del circuito:


Affascinante, vero? Devo dire che la qualità generale dell'assemblaggio e' decisamente sopra la media, e la precisione delle forature e degli allineamenti e' molto elevata.
L'occhio attento nota parecchi accorgimenti importanti nel circuito stampato, come ad esempio il piano di massa e l'imbullonatura delle blindosbarre affiancata alla rivettatura, allo scopo di garantire un contatto elettrico ottimale.

Eccezionalmente, ho ritenuto opportuno non ripulire la saldatura con il solvente, in quanto il flussante solido che utilizzo abitualmente e' di ottima qualità, e lascia comunque un velo protettivo sulla saldatura stessa. Se lavoro con circuiti di segnale mi preoccupo sempre di eliminare ogni traccia di flussante, lavorando accuratamente con pennello e diluente, ma in questo caso ho desistito anche per via della vernice protettiva depositata sul circuito stampato.
Ho notato infatti che e' pratica abituale del produttori ricoprire il circuito stampato di vernice trasparente dopo aver ultimato le saldature. In tal modo e' garantita una protezione aggiuntiva, che per condizioni di lavoro critiche come quelle di una saldatrice e' molto importante.

Ed ecco infine una foto dell'elettronica ripristinata nel proprio mobile:


Tutte le immagini sono visibili a piena risoluzione su PICASA.

13 novembre 2008

Utilizziamo un display grafico

Molti di voi conosceranno sicuramente i display alfanumerici 2 x 16, noti anche come "due righe sedici caratteri", oppure semplicemente "HD44780", in nome del controller tipicamente adottato.


In rete esiste un'infinità di materiale riguardo al pilotaggio di questi display, che peraltro è piuttosto semplice.
In poche parole e' sufficiente inviare alla linea dati i codici corrispondenti ai caratteri da visualizzare; servendosi degli appositi segnali di controllo si specifica la posizione dei caratteri, il lampeggiare del cursore, un'eventuale scritta scorrevole etc.
Chiaramente un display di questo tipo è adatto alla visualizzazione esclusiva di lettere e numeri, e pur avendo a disposizione una discreta scelta di simboli (barre, caratteri speciali etc.) ogni tentativo di visualizzazione "grafica", come ad esempio una barra scorrevole o un diagramma, diventa un compromesso fra la resa visiva e la scelta del simbolo più intuitivo. E' di fatto impossibile visualizzare un'immagine.

A tal proposito, da qualche tempo hanno fatto la loro comparsa i display grafici, o a matrice di punti, nei quali l'area di visione è uniformemente ricoperta da pixel.
Le risoluzioni sono relativamente alte, si va dai display 64 x 64 dei telefoni cellulari, passando per i 128 x 64, 128 x 256 etc. fino a display VGA da 640 x 480 pixel e oltre.

Come è intuitivo, il pilotaggio di questi display è più complesso rispetto al protocollo testuale del 44780, ma fondamentalmente la struttura è la medesima: la stringa di caratteri alfanumerici del 44780 è semplicemente sostituita da un insieme di coordinate vettoriali, da gestire opportunamente mediante i segnali di controllo. Nella maggior parte dei casi basta inviare al display la sequenza di accensione e spegnimento dei singoli pixel, spazzando l'intera superficie. Un po' come se si dovesse riempire una matrice casella per casella, a gruppi di otto bit alla volta.

Se il display va collegato ad un computer, l'elaborazione preventiva dell'immagine deve essere gestita dal software di pilotaggio, ma la quantità di programmi già scritti per questa specifica funzione rende il compito abbastanza agevole.
Se si lavora con un microcontrollore, il lavoro è ulteriormente semplificato dall'abbondante presenza di librerie e pacchetti software ad hoc, da incollare direttamente nel proprio codice.

Il display in esame.
Ho avuto modo di interessarmi a questi display quando ho reperito un PG12864A, recuperandolo da un pc palmare industriale (recuperato al ferrovecchio, quindi a costo zero!); nel momento in cui l'ho visto è scattata una curiosità irrefrenabile, che mi ha portato ad un primo approccio basato sul pilotaggio mediante pc (di fatto è il modo più semplice e rapido per sfruttare i display grafici di una certa complessità come questo).

Tecnicamente il PG12864A e' solo uno dei tanti display da 128 x 64 pixel basati sul controller KS0108, molto diffuso e collaudato.

Ecco una foto del display, davanti:


e dietro:

Si nota subito la presenza di una fila di 20 contatti. Dal datasheet del display e' immediatamente intuibile la somiglianza con la piedinatura dei classici 44780; di fatto le uniche differenze hardware riguardano alcuni pin di controllo.

L'interfaccia con il computer.
Il modo piu' diretto e semplice per sfruttare questi display e' un'interfaccia parallela (unidirezionale, anche SPP va bene) verso un computer fisso; non solo per l'esiguo hardware necessario, quanto per la maggior semplicita' nella gestione e visualizzazione dei contenuti. Supponendo infatti un'implementazione su microcontrollore, bisogna necessariamente mettere in conto un sostanzioso quantitativo di memoria nel quale conservare tutti i frame e le immagini!
Il collegamento al pc permette inoltre la visualizzazione dei contenuti piu' vari, dalle note interfacce per winamp allo stato della rete, dalle temperature interne al pc all'utilizzo della memoria RAM, solo per fare alcuni esempi.

Sostanzialmente lo schema da realizzare ricalca questo esempio:



ATTENZIONE: Lo schema riporta una piedinatura assolutamente generica per il display; all'atto della realizzazione, è necessario controllare l'effettiva piedinatura del proprio display, e prevedere gli eventuali adattamenti.

Si nota l'assoluta semplicità di questa soluzione, che prevede un collegamento immediato e diretto fra i pin della porta parallela e i corrispondenti pin del display.
Ovviamente questa e' la soluzione piu' rudimentale; personalmente ho realizzato un'interfaccia utilizzando gli arcinoti 74LS245, buffer ottali bidirezionali, che per questa applicazione sono in effetti un po' sprecati.

Da notare anche la presenza di un pin indicato con "Vout". Ebbene, da tale pin esce una tensione negativa di circa -10V, generata internamente dall'elettronica del display, che è necessaria per l'alimentazione del pannello LCD.
Mediante un trimmer da 10Kohm fra questo pin e la massa, prima di rientrare nel pin "Vo", si ottiene la regolazione del contrasto.

Per il collegamento alla porta parallela ho usato un cavo flat da 20 poli, che si e' rivelato particolarmente versatile e riutilizzabile per i progetti futuri.


L'interno:



Per il collegamento al display ho utilizzato un'interfaccia IDE da 40 poli; ne utilizzo solamente la metà, ma la praticita' di questa soluzione non ha rivali.
Per completare l'opera ho aggiunto un regolatore 7805 e il trimmer per il contrasto sulla stessa scheda. I 40 poli dell'interfaccia IDE mi possono tornare utili per realizzare contemporaneamente un'interfaccia per display grafici e alfanumerici, sfruttando semplicemente le due righe di contatti una alla volta.
In futuro perfezionero' l'interfaccia per gli alfanumerici.

La scheda di interfaccia risulta quindi cosi' costituita:


Trattandosi di scheda millefori, la parte posteriore e' molto popolata; in effetti il lavoro piu' lungo e' stato il collegamento dei fili verso i vari connettori:


Il lavoro non sara' pulito ma e' molto robusto e versatile. Nasce da qui la naturale considerazione sulla scelta dei buffer. Qualcuno potrebbe chiedersi: come mai non usare dei 74LS244? Osservando il datasheet, in particolare l'effettiva disposizione dei buffer interni, la risposta e' evidente: nel '245 i buffer sono tutti allineati, e gli 8 pin adiacenti possono essere assegnati tutti ad ingresso o ad uscita, mentre nel '244 si ha l'alternanza di un ingresso con l'uscita del pin opposto.

Inizialmente avevo fatto un tentativo (funzionante peraltro) di utilizzo dei 244, con questo risultato:


La confusione regna sovrana. Confesso di non aver previsto un tale groviglio di collegamenti; l'utilizzo di un 74LS244 e' vantaggioso praticamente solo nel caso di PCB realizzati appositamente, o nel caso in cui lo si utilizzi in modo "trasversale", ossia con gli ingressi in testa e le uscite ai piedi del chip, in modo da evitare troppi accavallamenti.

Nel suo complesso l'interfaccia risulta cosi' composta:


Il software.
Per la gestione di questi display esistono numerosi software, piu' o meno "artigianali". Personalmente ho usato LCDHype (Home), che ho trovato piuttosto intuitivo e ricco di funzioni pre-compilate per chi (come me) non ha molta voglia di star li' a programmare!
Esistono altri programmi piu' specifici, indicati ad esempio per le interfacce Winamp.

I piu' noti:
LCDStudio, analogo a LCDHype: Home
Microchipc, per le librerie da scaricare nei microcontrollori serie PIC: Home
LCDSmartie, piu' adatto per display alfanumerici es. 4 x 40: Home

Un interessante articolo di Hardware Upgrade in merito al noto programma jaLCDs: Articolo.

Alcuni esempi di funzionamento.

L'interfaccia per Winamp:


L'interfaccia a barre, sempre per winamp:


Visualizzazione di un'immagine:



Un orologio analogico:




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26 ottobre 2008

Ripariamo (ovviamente l'elettronica di) una lavatrice!

Recentemente ho avuto l'occasione di "mettere le mani" (per l'ennesima volta, a dir la verità!) nella lavatrice di casa.
D'un tratto, la cara lavatrice non voleva più saperne di fare la centrifuga, complicando notevolmente le operazioni di asciugatura degli indumenti (con questo tempo poi!).

Inutile dire che nel tempo di cinque minuti la lavatrice è stata accuratamente smontata alla ricerca del guasto.
Dunque... Se la centrifuga non parte, o è il motore, o son le spazzole, o è la.. centralina elettronica!


Ragioniamo secondo logica.
Il motore pareva in buono stato, nessun segno di bruciatura, nessun odore strano, nessun rumore sospetto; forse solo le spazzole un po' consumate, ma poteva ancora fare molta "strada".
E' bastato estrarre la centralina dall'angusto alloggiamento (fonti certe mi confermano che ci sono team di persone dedite a studiare la collocazione più scomoda e inarrivabile per queste benedette centraline!) per rendersi conto del problema.




Diagnosi del guasto.
Una visione d'insieme del lato superiore solitamente permette di trovare componenti visibilmente bruciati, danneggiati o addirittura esplosi, ma non e' il nostro caso.
Girando la scheda appare piuttosto chiara l'origine del problema:


Non notate nulla? Nemmeno sulla destra?
Guardiamo piú da vicino:


Eh si, avete visto bene! In corrispondenza di uno dei due relé visibili nella prima foto, c'é quello che rimane di una saldatura. La piazzola é sparita, il pin del relé carbonizzato, e al posto dello stagno c'é uno sprazzo nero.

Il guasto di questa scheda é da ricondurre con tutta probabilita' alla combinazione di stress meccanici, umiditá e generale scarsa qualitá del circuito stampato. C'é da dire infatti che anche le altre saldature non hanno un bell'aspetto, e la rottura di questa specifica saldatura prelude a guasti futuri dello stesso tipo.
Capita che una saldatura si deteriori, in seguito a stress meccanici (quali vibrazioni o sbalzi termici), dando origine a fessurazioni della stessa, che ne pregiudicano la conduttivitá. La corrente (piuttosto elevata in questo caso, visto che si tratta del relé della centrifuga) fa il resto, scaldando e deteriorando ulteriormente la saldatura, fino a dare origine a scintille che la consumano in breve tempo.


Come procedere.
La riparazione di questo tipo di guasti consiste ovviamente nel ripristino della saldatura originaria, ma rende indispensabile una revisione dell'intero circuito stampato, per arginare la possibilitá che il guasto si ripeta (evento molto probabile, con circuiti scadenti come questo).

Innanzitutto bisogna ripulire la zona danneggiata da detriti, segni di bruciatura e polvere; a questo scopo va bene un po' di carta abrasiva a grana molto fine. Qui nascono i primi problemi dovuti al calore.
In questo specifico caso il calore ha alterato la vernice protettiva del PCB, che di fatto si é scrostata fino alla saldatura adiacente quella del relé. Il rame della pista e' quasi sempre compromesso, e si rende necessaria una 'stagnatura' della pista stessa, ossia il deposito di un sottile strato di stagno, che garantisce una migliore conducibilitá e resistenza meccanica.

Dopo una prima pulizia meccanica, é indispensabile procedere con un risciacquo a base di alcol, ed una accurata asciugatura. Particolare attenzione va posta nello scrostamento della pista fino alla saldatura successiva (che servirá come appoggio). Capita spesso infatti che rimanga un po' di vernice al confine fra saldatura e pista, creando di fatto una barriera alla futura saldatura 'a cordone'. conviene operare con un punteruolo o anche un cutter, per liberare ogni residuo dal rame.

Viste le condizioni compromesse della pista e del terminale del relé, é bene non lesinare con il flussante. Personalmente ho pre-stagnato il terminale del relé e la pista, depositanto tutto lo stagno che mi serviva, e poi ho agito con il flussante, che ha aiutato notevolmente la distribuzione dello stagno.
Lo stagno utilizzato é il 67/33 giá presentato in precedenza; ho scelto questo stagno per le sue doti di maggior elasticitá a freddo, e per la migliore qualitá del flussante interno, indispensabile per questa riparazione.
Dopo il primo velo di stagno, ho rafforzato il cordone con un'altra passata.
Ecco il risultato:


Si nota il cordone che ora unisce il terminale del relé alla piazzola piú vicina. La pista di rame sottostante serve di fatto solo come guida, giacché la sua resistenza meccanica é stata irrimediabilmente compromessa dal calore.


Considerazioni.
Dopo aver sistemato questa saldatura, ho rinfrescato buona parte delle altre, a volte aggiungendo un po' di stagno, a volte lavorando solo col flussante ed aggiungendo quantitativi molto modesti di stagno. Bisogna infatti evitare nel modo piú assoluto di 'appesantire' le saldature mescolando blandamente lo stagno vecchio a quello nuovo, in quanto l'amalgama disomogeneo e' praticamente una garanzia di guasto (e' sufficiente un cambio di temperatura per 'criccare' internamente la saldatura), e l'aggiunta di stagno provoca facilmente un rigonfiamento della saldatura stessa, che ne pregiudica direttamente la resistenza meccanica.

Le saldature da revisionare sono soprattutto quelle relative ai componenti Through-Hole (TH) con pin non ripiegati. Osservando attentamente le foto precedenti si notano infatti alcuni componenti con pin ripiegati sul PCB prima della saldatura.
Questo garantisce solitamente una miglior resistenza meccanica, anche quando la saldatura é realizzata in grande economicitá.
Alcuni pin, come appunto quelli dei relé, non possono essere ripiegati (sono troppo corti e la loro maggior sezione porterebbe ad uno spezzamento piuttosto che ad un piegamento), e sono quindi piú suscettibili a guasti come quello analizzato.

Dopo la pulizia del vano centralina (collcato in basso, per proteggere giustamente l'elettronica dal vapore) e il ri-montaggio della lavatrice, tutto ha ripreso a funzionare, meglio che pria!

Tutte le foto sono visibili a piena risoluzione su PICASA.

20 settembre 2008

Finale per cuffia LX1444... Modificato!

Approfittando di una breve pausa di studio, ho ripreso un progetto che avevo iniziato almeno un anno fa.
Si tratta di un amplificatore finale per cuffia, che volevo collegare definitivamente al mio computer.
Ascoltando praticamente sempre l’audio in cuffia, ho percepito subito i limiti della mia scheda audio, sia in termini di potenza erogata che di banda. Le basse frequenze, in particolar modo, erano riprodotte con difficolta, e in effetti bisogna dire che lo stadio finale della mia "Creative Sound Blaster Live! OEM" non era stato pensato esattamente per pilotare delle cuffie da 40 ohm (quali sono le mie), ed era inevitabile che un’impedenza così bassa influenzasse pesantemente le doti dinamiche della scheda.
Non sono a conoscenza del valore dell’impedenza d’uscita della scheda, ma è presumibile che si tratti di un’uscita ad alta impedenza.

La scelta del finale.
Ho analizzato varie soluzioni, in quanto avrei potuto usare degli integrati finali tipo LM386 o TDA2822M in mio possesso, avrei potuto realizzare un semplice buffer a BJT, ed ho valutato persino un finalino valvolare presentato da Nuova Elettronica.

Visto il costo di quest’ultima alternativa (fuori dal mio “budget”), mi sono diretto verso un altro kit della medesima rivista, siglato LX1144 (reperibile nella rivista n. 167-168).

Si tratta di un finale da 1 + 1W RMS con ingresso a Fet e finale a Mosfet, una soluzione decisamente raffinata. Le caratteristiche “di targa” sono molto allettanti, e si può ottenere con facilità un guadagno di ben 30 dB.


La costruzione. Kit o millefori?
Dopo essermi informato, ed aver raccolto pareri uniformemente favorevoli per il kit in questione, ho deciso che l’avrei costruito.

Tuttavia, poiché avevo intenzione di modificarlo, non avrebbe avuto senso ordinare il kit completo; possedevo già tutti i componenti, e le mie modifiche avrebbero stravolto il circuito stampato, con esiti imprevedibili. Il circuito stampato fornito nel kit è infatti dotato di un piano di massa, che garantisce un’ottima immunità verso i disturbi irradiati, ma limita di fatto le possibilità di modifica.

Ho quindi raccolto tutti i componenti necessari, e, armato della proverbiale piastra millefori, ho replicato il circuito così come veniva proposto nella rivista.

Nonostante alcuni dettagli andassero modificati subito, l’ho ugualmente provato in questa configurazione “base”, e i risultato si sono dimostrati all’altezza delle aspettative.

Un suono palesemente diverso da quello “affaticato” che ero abituato ad ascoltare, le cuffie ora venivano pilotate con decisione anche nei bassi più profondi, conservando una banda più che ampia (i dati indicano una banda di 20-22.000 Hz, a +/- 1 dB!).

Pur non utilizzando uno stampato schermato dal piano di massa, non ho captato disturbi, eccetto forse il segnale del telefono cellulare nelle vicinanze; l’uso di una millefori ha pure i suoi limiti!


I limiti e le modifiche
Le mie uniche preplessità, a questo punto, riguardavano i punti deboli “noti” di questo kit.

Innanzitutto, i finali sono realizzati con una coppia complementare di Mosfet siglati IRFD.1Z3 e IRFD.9110, in package HD-1, molto simile ad un DIP a quattro pin. I progettisti di Nuova Elettronica avevano risolto brillantemente il problema della zoccolatura utilizzando uno zoccolo DIP da 8 pin, nel quale alloggiare il P-mos e l’N-mos di ciascun finale. Questa soluzione, seppur permetta di evitare la saldatura diretta dei FET, ha alcuni limiti.

Innanzitutto diventa difficile fissare qualsiati tipo di dissipatore, a meno di “incollarlo” direttamente ai finali, inoltre, vista la natura “ad incastro” dello zoccolo, c’è la possibilità che i transistor col tempo si stacchino dalla loro sede, con risultati ben immaginabili.

Poi, anche volendo utilizzare un dissipatore fissato esternamente allo stampato, ci si scontra con i condensatori di filtro, e col medesimo problema dell’”instabilità” dei Mosfet sullo zoccolo. Non è infatti il caso di applicare alcuna pressione all’insieme “Mosfet + Zoccolo”, per non piegare qualche pin. Insomma, si è costretti a lavorare con i Mosfet non dissipati, e, con le correnti in gioco, questi componenti tendono a scaldarsi considerevolmente.


Ho quindi disposto i Mosfet in modo leggermente diverso, saldandoli su un supporto rialzato, e prevedendo un dissipatore. Le immagini spiegano facilmente come ho fatto.

L'amplificatore è ancora allo stadio prototipale, i dissipatori sono ancora troppo vicini ai condensatori, ma con poche ulteriori modifche lo porterò all'assetto finale. Ecco il risultato, finora:


L'amplificatore privo dei transistor finali. Sono visibli gli zoccoli usati:



L'amplificatore con in finali al loro posto:



Il retro del finale. Si notano le grosse piste di massa (al centro), e le due piste per il 30V (che si estendono ai lati). Ho realizzato queste piste con rame più spesso, in modo da garantire la massima prontezza nei picchi di corrente.





Una visione d'insieme della tecnica utilizzata per montare i transistor su un supporto rimovibile e robusto. Ingrandendo l'immagine si nota facilmente il "trucco".




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25 agosto 2008

DAP Audio P2000 Vintage

Recentemente ho potuto completare la riparazione di un autentico "mostro". Due canali da 750W RMS l'uno. Roba da sagra, come si direbbe dalle mie parti.
Il paziente in questione è, come da titolo, un amplificatore della DAP Audio, modello Palladium 2000 "Vintage". Avevo già sentito nominare la DAP, in merito ad apparecchiature professionali di potenza, e difatti il modulo in questione è dotato di tutti i connotati del caso, ed è previsto il montaggio in rack.
Ma veniamo al dunque. Il proprietario dell'amplificatore, un mio conoscente che possiede un'attività di service audio-video, mi ha raccontato il dilemma: durante una serata, il canale destro era saltato improssivamente, e il pannello lo dava "in protezione". Ad amplificatore aperto, si notavano immediatamente i fusibili da 12A bruciati.
La sostituzione dei medesimi ha provocato nuovamente la fusione dei fusibili, segno abbastanza indicativo di un corto circuito secco.

L'amplificatore aperto:


Appena ho sentito la descrizione del guasto, mi sono fatto consegnare l'amplificatore per dare un'occhiata, pensando subito ad un corto secco nello stadio finale, un guasto piuttosto comune negli amplificatori in classe AB; di certo non mi aspettavo un finale così poderoso.
Quattro coppie (per canale!) di transistor complementari 2SC5200-2SA1943, coppia che ho scoperto essere molto utilizzata in ambito audio.

I transistor finali:


La scoperta del guasto
Ho quindi smontato il modulo relativo al canale danneggiato, segnando la disposizione dei cablaggi (ve ne sono parecchi, almeno una quindicina di fili di alimentazione con connettori Faston a guaina siliconica, una vera finezza).
Misurando blandamente con il tester la presenza di eventuali cortocircuiti, ho notato subito il corto secco a valle dei fusibili, imputabile quasi sicuramente a qualche transistor finale andato in cortocircuito pieno.
L'unico metodo per assicurarsi di ciò era dissaldare tutti i finali, e controllarli uno ad uno.

Il canale privato del dissipatore; da notare i transistor:


Infatti, dopo una semplice misurazione di continuità con il tester, ho trovato un 2SC5200 e un 2SA1943 in cortocircuito secco. Ho ritenuto che l'unica causa del malfunzionamento dell'amplificatore fossero questi due transistor, e a prova di ciò ho risaldato i rimanenti funzionanti, ho rimontato accuratamente il tutto, ed il finale ha ripreso a funzionare!
A mio avviso i transistor sono saltati per un surriscaldamento, ed è possibile che in un primo momento uno solo dei due sia andato in cortocircuito, vincolando l'uscita al potenziale di alimentazione (positiva o negativa), causando giocoforza la fusione di uno dei transistor del ramo opposto. Questa reazione a catena ha causato un cortocircuito pieno a livello alimentazione, che ha fatto fondere i fusibili ed arrestato l'imminente distruzione completa del finale.
Per i primi esperimenti ho usato cautamente dei fusibili da 3,15A.

Il problema dei transistor
Il problema, a questo punto, era trovare dei 2SC5200 e 2SA1943 nuovi.
Dei fornitori via internet è meglio non parlare, ho trovato siti molto "loschi" con spese di spedizione molto fumose, e siti che non spedivano fino al mio prossimo ordine (non faccio i nomi per ovvi motivi, ma a causa loro ho solamente perso molto tempo ed ottenuto per di più risposte sgarbate)!
Insomma, se uno ha bisogno di un 2SA1943 ed un 2SC5200 non può averli, a meno di pagarli in diamanti grezzi od oro massiccio. A parte le facezie, ero sinceramente sgomento per la difficoltà di reperire questi transistor.

La soluzione
Per fortuna mi è tornato alla mente colui che mi ha fornito gli introvabili TDA1514 per il Linn Majik (vedi post precedenti).
Dopo un breve scambio di mail (nel quale inoltre mi si spiegava l'accorgimento di leggere la sigla del "rank" per identificare la fascia di guadagno hfe del transistor), il mio "fornitore" ha avuto modo di recarsi Pechino (sic!) e trovare una coppia di transistor esattamente uguali ai miei.
In effetti, le alternative erano la ricerca di transistor di rank "o", o la sostituzione di tutti i transistor per garantire il corretto bilanciamento dei guadagni, ma la cifra da spendere sarebbe stata decisamente superiore. E poi era un peccato dissaldare 6 transistor perfettamente funzionanti ed originali per colpa di due bruciati.

Ricostruzione...
Ho quindi ricevuto i due transistor nuovi, ma prima di montarli ho dovuto smontare e pulire il dissipatore e tutti i transistor fissati al suo corpo, giacché la pasta termica si era facilmente essiccata durante le operazioni di smontaggio, e un eventuale riutilizzo della stessa avrebbe potuto mettere seriamente in pericolo l'integrità dell'amplificatore.
Infatti, la comune "pasta bianca" non è riutilizzabile in quanto da secca (basta che prenda aria una volta) produce l'effetto esattamente opposto a quello dovuto, ossia isola termicamente i transistor dal dissipatore, provocandone, cone è facile immaginare, la rottura per surriscaldamento.

La probabile causa del guasto
Dopo aver pulito con alcool il dissipatore, ho notato dei dettagli che mi hanno fatto seriamente dubitare della qualità costruttiva di questo amplificatore.
L'alluminio del dissipatore era particolarmente grezzo, si notavano alcuni fori rifatti e svasati male, un vistoso segno di una macchina utensile che aveva rigato l'alluminio proprio in corrispondenza dei transistor finali; evidentemente nessuno aveva pensato di carteggiare quella zona così sensibile, e di fatto le miche dei transistor insistevano su una superficie piena di avvallamenti e bave!
Ho quindi provveduto a lucidare le zone sensibili con carta vetrata fine, eliminando ogni asperità e garantendo una superficie più degna per un finale da 750W. Mi risulta molto strano che non siano state osservate delle norme qualitative così elementari.
Il dubbio si è fatto ancor più feroce quando ho osservato l'accoppiamento termico di una coppia di diodi e di un termistore. I diodi sono semplicemente appoggiati all'alluminio, e tenuti insieme da un abbondante strato di pasta bianca, e il termistore è letteralmente "annegato" in un avvallamento riempito della stessa pasta.
Inutile dire che con il tempo la pasta si seccherà, e i componenti sensibili alle variazioni di temperatura come i diodi e il termistore lavoreranno male.
Ad ogni modo, ho rimontato tutto esattamente "com'era prima", senza apportare modifica alcuna.

L'amplificatore sta suonando egregiamente sulla mia scrivania, ma sta pilotando delle casse da 15W, quindi sta praticamente "riposando". Al più presto sarà consegnato al legittimo proprietario, e mi auguro di poterlo sentire durante il collaudo alla massima potenza!
A breve ulteriori fotografie del lavoro svolto.

Come sempre, le foto sono visibili in alta risoluzione su PICASA

Ancora una volta, GRAZIE Maurizio!

27 maggio 2008

AMP6 e le saldature

Mi e' capitato per le mani un amplificatore ordinato all'ormai noto sito www.41hz.com, nella fattispecie un modello AMP6. Un mio amico aveva iniziato a montarlo, ma in fase di pre-test alcuni dettagli non lo convincevano, e quindi ho pensato di "darci un occhio". Preciso che il mio amico sta iniziando ora a sperimentare qualcosa, a fare qualche saldatura non banale ed assemblare un progettino niente male.
Dopo una prima revisione, nella quale ho sostituito una resistenza che era stata tolta a scopo di misura, ho notato alcune imprecisioni che ora vi espongo.
Innanzitutto le saldature. Non mi metto a scrivere la miriade di link che vi possono portare ai piu' svariati tutorial sulla saldatura (pardon, brasatura) a stagno, sul tipo di stagno da usare, la potenza del saldatore, la pasta o il flussante piu' opportuni e via dicendo. Mi limito a dire che ci vuole "una buona mano, un buon occhio e un buon naso", come per tutti gli esperimenti in campo elettronico (confesso che questa massima mi e' stata riferita da un mio conoscente riparatore, intendendo la buona mano per saper governare il saldatore, il buon occhio per non commettere errori grossolani, e il buon naso inteso sia come "inutito", sia nel senso letterale, un naso che sente subito l'eventuale puzza di bruciato!).
La maggior parte delle saldature erano state fatte correttamente, eccezion fatta per quelle sul piano di massa. Probabilmente il saldatore non era rimasto per un tempo sufficiente sul punto da riscaldare, e il risultato era una saldatura superficiale, irregolare, di forma semisferica, che, pur provvedendo alla continuita' elettrica, sicuramente non avrebbe retto il piu' modesto degli sforzi meccanici. Questo accade perche' il piano di massa disperde velocemente il calore del saldatore, e quindi necessita di piu' tempo per effettuare una saldatura corretta.
Direi che si puo' classificare senza dubbio nella categoria delle "saldature fredde", cioe' quelle nelle quali la temperatura e' stata insufficiente alla completa fusione ed amalgama dello stagno e del flussante.
Poco male, spesso basta riscaldare nuovamente la saldatura per veder risucchiare lo stagno nel foro metallizzato, e magari non guasta aggiungerne ancora un po'.

Diversa la situazione per altre saldature su piste convenzionali. Qui il problema era l'eccessiva quantita' di stagno rilevata su alcuni punti di saldatura, che ha reso necessario l'utilizzo della trecciola dissaldante.

A giudicare dal colore, lo stagno utilizzato e' il classico 60/40 da 1 mm di diametro, che ben si presta alla maggioranza delle saldature. Personalmente ho avuto i risultati migliori usando dello stagno 67/33, da 0.5 mm di diametro. soprattutto per i componenti SMD. Ho notato che quest'ultimo tipo di stagno impiega piu' tempo a raffreddarsi, forse a causa della temperatura di fusione sensibilmente piu' bassa rispetto al 60/40; un raffreddamento piu' lento e graduale e' proficuo per evitare l'insorgere di criccature nel materiale, che a lungo andare portano ad una degradazione meccanica della saldatura, da evitare assolutamente soprattutto con i componenti piu' voluminosi.
Le saldature con lo stagno 67/33 sono anche visibilmente piu' lucenti, forse per la piccola quantita' di argento presente nella miscela, ma di questo non sono completamente sicuro. Ho intenzione di provare delle altre leghe, e di cimentarmi nella saldatura lead-free.
A breve le mie impressioni!

13 maggio 2008

Linn Majik - La riparazione è completa!

Posso finalmente scrivere questa frase: ho aggiustato il Linn.

Oggi ho finalmente acquistato le quattro resistenze da 0,47 ohm che mi servivano per completare l'opera.
Dopo la sostituzione delle resistenze, un primo test ha confermato la piena funzionalità del Linn; ho quindi provveduto a pulire bene lo stampato dalle ultime tracce di pasta salda, ed ho alloggiato l'elettronica nel suo mobile. Le foto raccontano più di mille parole.


Foto dei finali e stadio d'alimentazione:


Foto complessiva dell'elettronica prima della messa nel mobile:


Foto del display (perdonate la scarsa qualità):


Il retro della scheda. Da notare le piste rifatte:


Foto del mobile:


Trasformatore ed interfaccia verso la rete:


L'elettronica adagiata nel mobile:



Il pannello posteriore, con l'abbondante dotazione di ingressi ed uscite:


Ed ecco tutti i componenti bruciati dal fulmine!


Un sincero GRAZIE a Maurizio per i TDA1514 e i transistor!

11 maggio 2008

Linn Majik - La riparazione prosegue

Dall'ultima volta in cui vi ho parlato di questa riparazione è passato un po' di tempo, ma d'altronde mi sono imposto di andare più cauto che mai, vista la fragilità del "paziente" e, non ultimo, il denaro investito.
Oggi posso dire finalmente che buona parte dei circuiti "sospetti'' funzionano.
Tutto si è svolto in questo fine settimana, dopo che Giovedì ho ricevuto la raccomandata contenente i quattro TDA1514 e i due transistor di potenza!

Eccoli:


Vi confesso che prima di accendere il saldatore e fare qualsiasi cosa ho pregato a lungo di non vedere sparire in fumo il risultato di parecchie ore di lavoro.. Ma l'unica era provare.
Ho iniziato con la sostituzione dei transistor di potenza "posticci" (il BD249C e il TIP145) con quelli "ufficiali". Il 2SC3519 e il 2SA1386 al loro posto. Ho sagomato opportunamente i pin per adattarli alla particolare forma dello stampato, oltre ché per ricostruire un paio di piste sollevate. Posso dire oggi con buona approssimazione il percorso del fulmine: dal cavo di messa a terra si e' propagato attraverso le piste di massa degli stadi d'ingresso, fino a raggiungere il finale del canale sinistro, che si e' bruciato subito. Il canale destro ha subito la stessa sorte durante le prime accensioni dell'amplificatore, visti i danni alla sezione di alimentazione. Anche il piu' robusto dei chip sarebbe saltato, con un' alimentazione in quello stato; i transistor di potenza andati (Il 3519 originale in cortocircuito, l'altro aperto), i regolatori che non regolavano, e chissa' quali cortocircuiti, che non ho neppure avuto la briga di verificare, giacche' ero preso dalla foga di dissaldare tutto cio' che sembrava ''andato''.
Ma ora, con i componenti nuovi alla mano, e le prove fatte, ero piu' speranzoso.
La sostituzione dei transistor di potenza non mi dava particolari preoccupazioni, in quanto la situazione poteva solamente migliorare, visto che i transistor erano proprio quelli per i quali l'alimentatore era stato disegnato.
Infatti, a saldature ultimate, le tensioni rispecchiavano fedelmente quelle desiderate: 26 volt sul ramo positivo e -25 sul negativo. Tutto a posto. Ora bisognava stare attenti a non bruciare i transistor appena piazzati, magari con qualche manovra sbadata!

Mille scrupoli prima di saldare i preziosi TDA: lo schema
Prima di saldare i TDA1514 era doveroso controllare, datasheet alla mano, tutte le reti attorno ai chip stessi, dagli ingressi alle uscite. Il circuito è abbastanza semplice e replicato identicamente per i quattro chip, esso si comporta come il classico "grosso operazionale", quindi con i componenti relativi all'impedenza d'ingresso, la rete di retroazione, i condensatori sull'alimentazione, e la rete di protezione SOAR. Proprio quest'ultima rete si è rivelata più complessa del previsto, visto che l'amplificatore prevede una funzione di "muting" automatico, oltre che' un muting forzato ottenibile dai jumper menzionati nei post precedenti.
Osservando il circuito, ho notato che da un lato la rete della SOAR ricalca fedelmente quella del datasheet, con una resistenza da 470K verso massa e un condensatore verso il ramo negativo dell'alimentazione (nel datasheet da 3,3 uF, nel Linn da ben 22 uF!). La costante di tempo di questa rete RC determina il tempo di "standby" dell'amplificatore prima dell'accensione completa.
Dei comparatori interni al 1514 fanno sì che a condensatore scarico (0 ~ 0,9V rispetto al ramo negativo dell'alimentazione) il chip sia spento, poi con una tensione fra i 2 e i 4,5 volt
si posizioni in standby, e poi infine con tensioni fra i 6 e i 7,25 volt sia in funzionamento pieno.
La rete che asserviva la SOAR del canale destro era sana, misurando con il tester la tensione sulla piazzola del pin 3, all'accensione si poteva seguire l'andamento che da 0V (sempre rispetto ai -25V) saliva lentamente fino a raggiungere la massa. I circuiti interni del TDA1514 limitano la salita di questa tensione arrestandola al valore massimo di circa 7 volt visto prima, quindi se in sede di misura potevo raggiungere la tensione di massa (ossia i 25 volt rispetto al ramo negativo), alla fine a chip montato non salivo mai sopra i 6,5 ~ 7V.

Un guasto inaspettato
Il ramo che asserviva il canale sinistro era invece fisso a zero volt. Osservando con attenzione le piste che costituivano il ramo, si poteva vedere che erano quelle più danneggiate, segno che il fulmine ha colpito con più forza in quella zona. Qualcos'altro si era bruciato sicuramente.
E' bastata una misura con il tester per capire che il cortocircuito verso i -25V era secco. Infatti il condensatore da 22 uF, una volta dissaldato, era in pieno cortocircuito.
Sostituire il condensatore è un gioco da ragazzi direte, ma dove lo trovo io un condensatore allo stato solido in SMD da 22uF 25V? Nella mia scorta di componenti non ne avevo, e nemmeno nelle schede ricche di SMD che tengo come miniera di componenti.
Ho notato che di condensatori come questo ce n'era un altro che livellava banalmente la tensione di 5 volt, piazzato nella zona degli stadi d'ingresso. Ho quindi prelevato il condensatore "buono", l'ho saldato al posto di quello in corto, ed al suo posto ho messo un elettrolitico da 22uF 25V che avevo in casa; per il compito che deve svolgere va più che bene!

Risolto!
Infatti all'accensione tutto rispondeva correttamente, con i display che reagivano prontamente , e le tensioni ai capi del condensatori che salivano come previsto. Attivando il mute dai jumper, le tensioni scendevano bruscamente a zero, riattivando il sistema salivano lentamente come era lecito aspettarsi. Un altro problema risolto!

La prudenza non è mai troppa: un controllo a tutti i componenti
Le resistenze di retroazione dei chip erano tutte sane, a parte una da 150 ohm che appariva sana, ma era fissata con delle saldature fredde (in effetti erano un po' opache), ed appariva come un cortocircuito!
E' bastato rifare le saldature e tutto si è messo a posto.
Per sicurezza ho rinfrescato anche le saldature delle altre resistenze, assicurandomi poi del loro corretto funzionamento. A conti fatti, se la resistenza da 150 ohm incriminata si fosse comportata come un aperto, il TDA1514 relativo si sarebbe comportato come un buffer, e la tensione in uscita sarebbe stata a livello di linea, quindi ben piu' bassa di quella erogata dal ''gemello''; questo avrebbe portato ad un drastico abbassamento della potenza in uscita, che si sarebbe dissipata sulle resistenze di adattamento (ed ecco perche' ho scelto di non mettere subito quelle da 0,47 ohm!).

Regolazione dell'offset
Ho scoperto anche la funzione precisa dei due trimmer nella rete di retroazione di un chip del canale destro ed uno del canale sinistro.
Come sospettavo, essi servono a fissare l'esatto valore delle resistenze di retroazione (si tratta di trimmer da 500 ohm in serie alla resistenza da 3,9K di retroazione), in modo da garantire il matching perfetto del guadagno fra gli stadi che finiranno in parallelo.
Ad una misura col tester, la serie della resistenza e del trimmer misura esattamente come la resistenza dello stadio speculare: 3910 ohm in uno stadio e 3915 nell'altro. Precisi tanto da farmi seriamente prendere in considerazione di lasciarli lì, senza tarare neppure nuovamente il sistema!

Uno schema sempre più complesso: operazionali per la compensazione in temperatura
Rimaneva abbastanza fumoso il ruolo di due integrati doppi operazionali di tipo TL072C, che agivano sulla retroazione di entrambi gli stadi. Pare che siano collegati all'NTC fissato al dissipatore, qunidi presumibilmente ad una rete di compensazione della temperatura.
Il loro funzionamento pareva regolare, non c'erano cortoocircuiti, e non mi sono addentrato in ulteriori indagini. Curiosamente questi due integrati sono alimentati alla tensione duale di + e - 14V, ottenuta dai 317-337 che generano i 15V duali, ai quali sono affiancati due BJT di media potenza SMD che causano la caduta di 1V, che genera così i 14 volt duali. Condensatori a iosa.
Forse si voleva migliorare il disaccoppiamento fra l'alimentazione dello stadio l'ingresso (l'unico in effetti ad essere alimentato a + e - 15V) e lo stadio di compensazione della temperatura.

L'accorgimento per il parallelo dei finali
Insomma, tutto sembrava pronto per ospitare i TDA1514, eccetto le resistenze di bilanciamento delle uscite. Le resistenze da 0,47 ohm 5W le avevo già tolte, in quanto una di essere era "aperta" (fatalità sempre quella facente capo al TDA più "danneggiato"), e le altre avevo comunque intenzione di cambiarle.
Decisi, come detto, che per le prime prove, potevo usare le quattro resistenze di potenza da 18 ohm 11W che avevo nel cassetto.
In caso di problemi, avrei subito avvertito il calore delle resistenze, piuttosto dell'odore di bruciato dei chip!

Fu così che iniziai a saldare il primo TDA1514.
Decisi di saldarli uno alla volta e dare tensione ogni volta, confidando sul fatto che di fatto i quattro chip sono gestiti da quattro circuiti indipendenti, e che comunque anche con un solo chip l'amplificatore avrebbe dovuto funzionare; al massimo, in caso di guasto catastrofico, avrei sacrificato uno solo dei quattro preziosi integrati.
Dopo l'accurata saldatura dei pin, ho controllato la continuita' di tutte le piste e la corretta corrispondenza di ogni pin con la funzione che avrebbe dovuto svolgere.
Sembra tutto a posto.

Proviamo il primo TDA...
Collego il trasformatore e il display, e con il cuore a mille infilo la spina. Il trasformatore reagisce sempre con un avvertibile impulso, per caricare i grossi condensatori da 10.000 uF. Tutto silenzioso. Dopo tre secondi stacco la spina, tasto transistor e chip, tutti freddi. Bene, almeno posso sentirmi di escludere la possibilita' di cortocircuiti o errati collegamenti.
Collego un segnale all'ingresso RCA corrispondente all'ingresso CD, piazzo una cassa acustica "da laboratorio", e accendo nuovamente. Tutto tranquillo, aspetto un buon mezzo minuto con le dita sulla scheda in cerca di possibili punti suscettibili a surriscaldarsi, e mi decido a far partire la musica.
Fu cosi' che ''Radio Ga Ga'' dei Queen battezzo' la rinascita dalle ceneri del povero Linn Majik, che a questo punto poteva dirsi sulla buona strada per il completo recupero.
La musica che usciva dalla cassa, la risposta corretta del controllo di volume e del cambio d'ingresso confermano il pieno funzionamento di tutto il circuito. Buona parte dei dubbi sono stati dissipati.

La strada è spianata
Procedo con la stessa operazione con un solo chip all'altro canale.
Con il cuore sempre a mille accendo, e finalmente posso assaporare il suono in stereo!
Tutto tranquillo anche con le temperature, al tatto tutto si scalda ma uniformemente e ''nella norma''.
Preso dalla gioia nel vedere che tutto funziona a dovere saldo il terzo chip, e poi il quarto.
Dopo aver controllato a livello maniacale ogni dettaglio do' tensione, e finalmente tutto funziona come deve. Tutti e 4 i chip funzionano insieme, Radio Ga Ga esce pulita dalle casse (per quanto possano essere da laboratorio, suonano benone! O magari è la qualità del Linn a farmi sentire una musica così bella? O forse la mia soddisfazione?).
Giunto a questo punto, una bella pausa e un buon caffe' sono d'obbligo.

A parte gli scherzi, ecco una foto didascalica del lavoro allo stato attuale delle cose:
Visibile più dettagliatamente su Picasa: LINK


Un curioso sistema di raffreddamento
Da notare le ridotte dimensioni dell'aletta di raffreddamento, in alluminio anodizzato. L'anodizzazione rende elettricamente isolante l'alluminio, e infatti durante lo smontaggio dell'amplificatore non ho notato alcuna mica isolante, e nemmeno un po' di pasta bianca. Per fare un lavoro più accurato ho quindi provveduto a fissare chip e transistor con delle buone miche isolanti siliconiche e un giusto quantitativo di pasta termoconduttiva.
Durante le prove l'aletta (se così si può chiamare) ha raggiunto temperature abbastanza elevate, al tatto.
Evidentemente la dissipazione del calore sarà più efficiente con l'amplificatore nel suo mobile metallico (è d'alluminio, e piuttosto spesso), al quale l'aletta trasmetterà il calore. Però, una scelta davvero ingegnosa!

7 maggio 2008

L'alimentatore da banco

Ecco finalmente la descrizione del progetto forse piu' controverso fra gli appassionati di elettronica: l' alimentatore da banco per il proprio laboratorio.
La mia idea e'nata discutendo un po' (animatamente) con i colleghi all'universita', in merito alle caratteristiche dello strumento ''ideale'', che avrebbe risolto tutte le esigenze possibili per l'alimentazione da laboratorio. Ad un certo punto si crearono due linee di pensiero: chi diceva che l'alimentatore doveva essere minimalista, con un'unica uscita regolabile e ''perfetta'', e chi diceva che sul pannello dovevano trovare spazio tutte le uscite in alternata, tutte le tensioni fisse da 1.5, 3, 6, 9, 12, 15V, e almeno due uscite variabili, oltre ovviamente agli strumenti rigorosamente analogici.

Fu a quel punto che pensai: Perche' non realizzare una struttura modulare, da comporre in base alle esigenze? In fin dei conti un alimentatore super-accessoriato quando potra' essere sfruttato appieno? Praticamente mai!
Decisi quindi di dividere il concetto di ''alimentatore'' in quattro sezioni fondamentali: la sezione di potenza bruta (trasformatore, ponte e condensatore), il regolatore, gli strumenti e la sezione di protezione.
Decisi allora che sarebbe stata una buona idea realizzare le singole unita' in scatole separate, da collegare in base alle esigenze, in modo da rendere la struttura massimamente flessibile, oltreche' meno ingombrante possibile, visto che ogni volta si sarebbero collegate solamente le unita' desiderate.
Confesso che l'idea mi venne osservando la quantita' industriale di boccole e spinotti a banana che avevo acquistato l'anno precedente alla Fiera di Pordenone, e che erano rimasti inutilizzati per molto, molto tempo.. Sarebbe stato un peccato non utilizzarli, no?

Fu cosi' che iniziai a realizzare il banco strumenti, racchiudendolo in una scatola GEWISS modello 207.
Queste scatole sono davvero ideali per le realizzazioni prototipali ed hobbistiche, la plastica e' favolosa, si lascia lavorare bene ed e' molto resistente, ed inoltre il fondo delle scatole e' ricco di nervature, ottime per fissare torrette metalliche, trasformatori e quant'altro.
Nella ''207'' trovano spazio un voltmetro in CC da 30V f.s. ed un amperometro CC da 3A f.s., rigorosamente analogici, gestibili grazie ad un sistema di interruttori che permette di escludere gli strumenti (per i test piu' a rischio per la loro incolumita'!), di riferire le misure ad una massa diversa, etc.. Lo strumento e' decisamente versatile, e lo uso praticamente sempre.


La seconda unita' che ho realizzato comprende tutta la sezione "bruta'' dell'alimentazione, ossia i trasformatori, i ponti e i condensatori. Essendo questi componenti decisamente piu' ingombranti, ho utilizzato una scatola GEWISS modello 209.


Inizialmente volevo includere solamente i componenti sopra menzionati, ma poi, vista l'abbondanza di spazio, ho aggiunto anche un po' di ''optional'', che ora elenco:
-La tensione di rete a 220 volt viene inviata ai trasformatori mediante dei relé', azionati dagli interruttori sul pannello funzionanti a 12 volt. Non mi piaceva l'idea di avere i 220 volt sul pannello, e poi posso sempre prevedere l'attivazione dei rele' in via remota, o automatica, anche se non ho ancora implementato questa funzione, e i rele' asservono esclusivamente agli interruttori sul pannello.
-Un trasformatore da 12V 10W fornisce la tensione per l'elettronica di bordo precedentemente menzionata, e per i LED che ho intenzione di mettere sul pannello (tutt'ora rimane un'intenzione, visto il poco tempo a disposizione).
-Il trasformatore di potenza principale e' stato recuperato da un plotter, e' dotato di un primario con selezione 110-200-220-240V, e tre secondari, che con 220V al primario forniscono rispettivamente le tensioni alternate di 9, 18 e 27V.
-Inizialmente avevo pensato di portare la 220 solamente all'avvolgimento primario dedicato, ma poi ho pensato di mettere un interruttore a 3 posizioni, in modo da scegliere se tenere il trasformatore spento, se inviare la 220V all'avvolgimento ''220'' o all'avvolgimento ''240'', in modo da disporre di tensioni sensibilmente piu' basse di quelle nominali. Questo mi e' utile per testare il comportamento del carico ad esempio in caso di abbassamenti della tensione di rete, o per verificare l'autosuscettibilita' di un convertitore. Insomma, la differenza fra le tensioni ottenibili al secondario non e' elevatissima, ma puo' tornare utile.
I terminali dei tre avvolgimenti secondari di questo trasformatore sono portati direttamente al pannello frontale.
-Ho montato poi un secondo trasformatore, un toroidale da 50W con uscita 20 + 20V a zero centrale. L'uscita in alternata e' portata al pannello frontale con 3 terminali, sia mai che debba provare un alimentatore duale.
-Questo secondo trasformatore, oltre a fornire le suddette tensioni al pannello frontale, alimenta internamente un almentatore CC duale completo, realizzato con una coppia di regolatori LM317-LM337. Le tensioni in uscita vanno da 1.25 a circa 25 volt per il ramo positivo, e da -1.25 a -25V per il ramo negativo, e sono regolate separatamente da due ottimi potenziometri da pannello. La corrente massima di 1.25A per ramo e' piu' che sufficiente per alimentare la maggioranza dei progetti che richiedano alimentazione singola o duale. Prelevando poi la tensione fra il ramo negativo e positivo, si possono ottenere anche tensioni elevate, fino a 50V, una tensione normalmente fuori dal range dei comuni alimentatori da banco, che arrivano quasi sempre fino a 30 volt.
I regolatori sono fissati ad un dissipatore sul fianco destro della ''209''.
-Al fianco sinistro un altro dissipatore monta due ponti raddrizzatori da 50A, accompagnati da condensatori elettrolitici da 10.000 uF 50V, di buona qualita'. Gli ingressi dei ponti e le uscite ai capi dei condensatori sono disponibili sul pannello, pronti ad essere collegati a qualsivoglia avvolgimento secondario e qualsivoglia carico. Essendo tutti i sistemi galvanicamente isolati, e' possibile realizzare sistemi a masse separate, o paralleli per ottenere correnti piu' elevate (magari giocando con gli avvolgimenti secondari, che fatalita' forniscono tensioni facilmente combinabili).
-Sul pannello trova posto anche un voltmetro analogico AC da 30V f.s., molto utile per controllare l'effettivo valore della tensione alternata ai secondari dei trasformatori, soprattutto sotto sforzo.
-Nessuna ventola attiva, solo dissipatori esterni e abbondantemente sovradimensionati, a garanzia di silenzio ed affidabilita'.


L'abbondante presenza di boccole a banana sul pannello frontale garantisce la massima flessibilita' di questo ''box di potenza'', e i collegamenti permanenti (ad esempio i collegamenti fra gli avvolgimenti dei trasformatori) possono essere realizzati con del comune filo, semplicemente avvitando i morsetti delle boccole a banana. Semplice e flessibile.
Ogni trasformatore e' asservito da un interruttore controllato da un rele', sul fianco c'e' un interruttore generale bipolare, e dulcis in fundo ho trovato spazio anche per un filtro EMI per la linea a 220V, che non fa mai male.

La terza ''scatola'' che ho realizzato (precisamente in una GEWISS modello ''208'') non fa parte dell'alimentatore, ma e' un carico attivo, che descrivero' dettagliatamente in un altro articolo.

Foto dettagliate:
Scorcio all'interno dello stadio di potenza (cablaggi)
Retro pannello stadio di potenza
Interno della stazione di misura
Interno dello stadio di potenza

Link a tutte le foto dell'alimentatore su Picasa (consigliato): LINK

Update 21 Maggio 2015:
L'alimentatore da banco è stato citato in un bel gruppo Facebook dedicato all'elettronica, che vi invito a visitare: https://www.facebook.com/ElettronicApplicata/posts/825881014128456

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